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Il Tempietto del beato Enrico da Bolzano

Ci troviamo a pochi metri da piazza Duomo, e anche piazza dei Signori, il salotto di Treviso, è così vicina che sembra quasi di sentire gli echi delle risa dei bambini che si rincorrono all’ombra della Torre Civica. Eppure imboccando via Canova si entra in un’atmosfera quasi rarefatta, affascinante ed antica, che ci riporta indietro nel tempo. Ecco Ca’ da Noal di origine medioevale e casa Robegan, caratterizzata dalla facciata affrescata; poi ci troviamo subito davanti ad un piccolo edificio neoclassico, quasi un Pantheon in miniatura, che risalta tra i palazzi storici ed austeri della via. E’ il Tempietto del Beato Enrico (o Erico) da Bolzano, benedetto dal vescovo Sebastiano Soldati nel 1830, costruito in stile neoclassico proprio là dove morì il sant’uomo il 10 giugno del 1315.

Racchiuso e quasi preservato da una austera cancellata in ferro risalente al 1700, è impreziosito dal pronao e da quattro colonne di ordine dorico ed è circondato da un piccolo giardino che ingentilisce la via, come un’oasi naturale tra le facciate dei palazzi antichi. Recentemente restaurato (2015) su progetto dell’architetto Diego De Nardi, custodisce all’interno interessanti opere d’arte: la statua lignea della Madonna della Speranza (secoli XVI-XVIII), la pala che rievoca il miracolo compiuto dal Beato a favore di un sarto, due statue di angeli del XVII secolo e una statua lignea del santo. Sono inoltre esposte delle reliquie e degli oggetti sacri.

I trevigiani sono sempre stati molto devoti a questo santo. Anche ora, quando il tempietto è aperto, come i pellegrini dei secoli scorsi che venivano a Treviso per rendere omaggio al corpo del Beato Enrico, entrano per pregare ed accendere una candela nella cappelletta sorta nel punto in cui morì.

Il corpo del Beato Enrico però non riposa qui, ma nella vicina Cattedrale, precisamente nella prima cappella a destra, sotto un tabernacolo di marmo in cui è conservata un’ampolla col suo sangue, miracolosamente non coagulato.

Si tramanda che il giorno della sua morte le campane di Treviso si siano messe a squillare senza che alcuno le azionasse e che avvennero numerose guarigioni e liberazioni da infermità. Migliaia furono i fedeli accorsi da tutta Italia per partecipare ai funerali del Beato Enrico per la fama della sua santità che si era propagata in fretta. Forse non tutti sanno che anche Boccaccio, in una novella del suo Decamerone, la prima della seconda giornata, rievoca l’immane folla di quel giorno, a dimostrazione della grande risonanza che aveva avuto la morte del santo.

«Era, non è ancora lungo tempo passato, un tedesco a Trivigi chiamato Arrigo, il quale, povero uomo essendo, di portar pesi a prezzo serviva chi il richiedeva; e con questo, uomo di santissima vita e di buona era tenuto da tutti. Per la qual cosa, o vero o non vero che si fosse, morendo egli, addivenne, secondo che i trevigiani affermano, che nell’ora della sua morte le campane della maggior chiesa di Trevigi tutte, senza essere da alcun tirate, cominciarono a sonare. Il che in luogo di miracolo avendo, questo Arrigo esser santo dicevano tutti; e concorso tutto il popolo della città alla casa nella quale il corpo giacea, quello a guisa d’un corpo santo nella chiesa maggior ne portarono, menando quivi zoppi, attratti e ciechi ed altri di qualunque infermità o difetto impediti, quasi tutti dovessero dal toccamento di questo corpo divenir sani.»

 fonte: Carlo Agnoletti, “La vita del Beato Enrico da Bolzano” (1909)

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