Il canto IX del Paradiso rappresenta una sorta di passaggio metaforico tra due parti del paradiso dantesco; esso chiude idealmente la prima parte, ambientata nel cielo di Venere, dove la Terra proietta ancora un cono d’ombra come a indicare che le anime che vi si trovano hanno un grado di beatitudine inferiore a quello degli spiriti che si trovano nei cieli successivi. Anche nelle altre Cantiche i noni canti rappresentano quasi delle invisibili porte tra le diverse zone che Dante visita nel suo viaggio ultraterreno: qui ci troviamo nel Terzo cielo, che appare in forma di luminosissima sfera, e le cui intelligenze motrici sono i Principati; i Beati che Dante incontra sono gli Spiriti amanti, raffigurati come splendide luci che cantano e danzano soavemente, con movenze e velocità rapportate al loro grado di beatitudine. Essi in vita coltivarono la virtù dell’amore, ma furono in qualche modo traviati dalla passione per i piaceri.
Questo Canto può essere definito come il canto delle tre profezie: quella iniziale di Carlo Martello, che preannuncia i mali che colpiranno la sua discendenza, quella centrale di Cunizza da Romano, che si scaglia contro gli efferati signori della Marca trevigiana, e quella finale di Folchetto da Marsiglia, che fustiga l’atteggiamento del papa e dei cardinali, dimentichi della loro missione spirituale e interessati solo al “maledetto fiore” (il Fiorino ossia il denaro) e annuncia una speranza di liberazione grazie all’intervento divino.
Il Canto, oltre che distinguersi per il frequente ricorso a neologismi, latinismi, espressioni enigmatiche e figure retoriche, è caratterizzato dalla rudezza e dalla schiettezza delle parole e dei toni usati dai personaggi, che stridono in qualche modo con l’ambiente celestiale in cui si trovano i beati, ma evidentemente lo sdegno e l’indignazione che determinano le invettive e le profezie sono così forti, i fatti che causano le denunce sono così ingiusti e crudeli che Dante ritiene opportuno usare espressioni e parole che sembrerebbero più appropriate nei gironi dell’Inferno.
I beati citati da Dante ben rappresentano gli spiriti amanti, ovvero coloro che nella prima parte della loro vita, assecondando in maniera eccessiva le passioni, furono travolti dall’amore, ma poi riuscirono a convertirsi e a meritarsi il Paradiso, seppur in un cielo basso. Questi spiriti ora, obliando i ricordi dei peccati, provano solo la gioia della beatitudine, e una viva gratitudine nei confronti della Divina Provvidenza che li indirizzò al bene ed alla salvezza eterna. Folchetto presenta a Dante una “lumera che qui appresso a me così scintilla”: è Raab, cortigiana di Gerico, che ospitò in casa sua gli esploratori di Giosuè, conquistandosi così un posto nel cielo di Venere.
Il personaggio che più ci interessa è Cunizza, figlia di Ezzelino II da Romano e sorella del feroce tiranno Ezzelino III, signore di Treviso.
Ella si avvicina a Dante in forma di luce brillante, manifestando così il suo interesse a parlare con lui; gli confida che in gioventù subì il fascino del pianeta Venere, abbandonandosi ad una vita dominata da piaceri sensuali e da scandali, ma poi seppe ravvedersi e rivolgere il suo amore a Dio, ottenendo così la salvezza eterna. Cunizza profetizza duri castighi per le popolazioni della sua terra natale, la sconfitta dei Guelfi padovani da parte di Cangrande della Scala, e il tradimento di Alessandro Novello, vescovo di Feltre.
Il verso
“e dove Sile e Cagnan s’accompagna,
tal signoreggia e va con la testa alta,
che già per lui carpir si fa la ragna.
(e a Treviso signoreggia con superbia quel tale contro cui già si trama la ragnatela per prenderlo)
si riferisce all’uccisione di Rizzardo da Camino, Signore di Treviso; questi eventi storici della Marca, dominata da crudeli tiranni, vengono interpretati da Dante come emblematici della confusione politica dell’Italia del tempo, che il sommo poeta riteneva causata dall’assenza di un’autorità imperiale.
Attraverso Cunizza quindi viene condannata la situazione politica delle lotte comunali e dei soprusi perpetuati dai tiranni locali corrotti e feroci; questa condanna sfocia in una profezia di sventure e duri castighi, che dovrebbero portare, secondo Dante, ad un rinnovamento della società grazie al riprendersi della giustizia.
In questo avvincente canto Dante alterna teologia, polemiche storico-politiche e profezie; presenta Cunizza, una delle donne che ricoprono un ruolo rilevante nella Divina Commedia e ce la fa conoscere come avventurosa e passionale, grande nelle intemperanze giovanili e nella saggezza della maturità; forse il poeta, da giovane, l’aveva vista a Firenze ormai anziana, o forse aveva sentito raccontare le sue vicende amorose e ne parla nella sua opera, prendendo spunto per una denuncia della situazione politica del tempo. Probabilmente la vivida descrizione nella perifrasi “dove Sile e Cagnan s’accompagna” autorizza a ritenere che Dante abbia visitato Treviso e sia rimasto colpito dal fascino della nostra piccola Venezia, lambita e anzi abbracciata dalle verdi acque del Sile ed attraversata da placidi canali.