L’Arte al tempo del Covid-19

L’arte può contribuire a migliorare la vita? Può, come terapia del bello, aiutarci nelle difficoltà grandi e piccole che affrontiamo quotidianamente? Molti studiosi affermano che è così: ammirare un bel quadro, leggere una poesia, visitare una mostra forse non risolve i nostri problemi, specie quelli di questi ultimi due anni, ma sicuramente aiuta a ritemprare l’animo appesantito e a portarlo (o riportarlo) in una specie di paradiso perduto, un mondo ideale fatto di bellezza e armonia; e non è una fuga o un rintanarsi in un rifugio dorato ma un modo attivo e propositivo di affrontare la realtà, andando oltre ad essa, ricordando che oltre ai problemi ed alle difficoltà c’è molto altro.

A questo proposito abbiamo incontrato la dottoressa Ombretta Frezza, storica dell’arte molto conosciuta a Treviso per le sue attività, che recentemente ha pubblicato un libro intitolato proprio L’arte al tempo del Covid-19; le poniamo qualche domanda su questa sua nuova opera.

Questo libro è stato pensato e concepito durante il lockdown dello scorso anno, dovuto al Covid; puoi raccontarci com’è nata l’idea?

L’idea, come dico nella prefazione del mio libro, nasce agli albori del lockdown nel 2020, durante una delle prime notti insonni. Da un giorno all’altro avevo visto, come la maggior parte degli italiani, arrestarsi tutto, lavoro compreso, allora ho deciso di mettere a disposizione dei social le mie competenze in quanto critica d’arte. Ho girato un video che poi ho pubblicato su Facebook, chiedendo agli artisti di mandarmi la foto di una loro opera così da raccontarci le emozioni e le storie che questa potesse suggerire. Così nasce il 10 Marzo 2020 la rubrica quotidiana “L’Artealtempodelcovid19” presente nel mio gruppo Ombretta Frezza Storica dell’Arte. Ogni giorno postavo una foto e un racconto su di essa, e l’appuntamento è diventato un punto di riferimento per appassionati d’arte, artisti, followers del mio gruppo, arrivando ad attirare l’attenzione della stampa locale, che grazie alla giornalista e collega Chiara Voltarel mi ha portata ad avere un articolo sul Gazzettino di Treviso, il 21 Aprile 2021.

Tu sei una donna che vive di arte prevalentemente “visiva”, come mai hai deciso di dedicarti anche alla scrittura?

La scrittura fa parte di me, fin da quando ho imparato a scrivere in prima elementare. Per me quando c’era compito di italiano, fino alla quinta classe del liceo, era una festa. Ho sempre scritto: diari, racconti, poesie, e poi con il mio lavoro mi sono concentrata soprattutto su saggi critici. Scrivere è una valvola di sfogo e questo libro mi ha aiutata a non perdermi durante quei due mesi di chiusura e allontanamento dalla nostra vita. Scrivere è per me terapeutico, mi aiuta a guardarmi dentro, a capire a che punto sono con la mia esistenza, a lasciare che le emozioni escano e non restino dentro, sedimentando e provocando ansie che poi sono molto difficili da gestire.

Come nascono i tuoi scritti? Ti fai ispirare da qualcosa in particolare?

Gli scritti nascono in base all’emozione del momento, a ciò che provo, a quelli che possiamo definire stimoli esterni ossia un qualcosa che leggo, o che vedo in televisione o in un film ma generalmente dipendono da ciò che sono in un determinato momento. Quando scrivo, in realtà, scrivo di me.

La scrittura può essere uno stupefacente viaggio dentro noi stessi… sei d’accordo con questa affermazione?
Certamente, scrivere è un emozionante viaggio dentro se stessi. Scrivere ti porta a togliere filtri, maschere, sei sola con te stessa e non puoi raccontarti bugie. E’ come trovarsi nudi dinnanzi ad uno specchio e vedere la propria immagine riflessa. Non la puoi falsare. In realtà scrivendo puoi anche arrivare a rielaborare un vissuto che magari abbandoni da qualche parte della mente e che rifuggi, che vorresti dimenticare. Spesso emerge ciò che sei e arrivi solo così a comprenderti. Io consiglio a tutti di scrivere perché è come fare una seduta di terapia che aiuta a far uscire il nostro mondo interiore, intimo, il nostro io più reale e sincero, a conoscerci o per lo meno a provare a farlo.

Come vivi il tuo essere donna a Treviso?
Bella domanda. Treviso, alcune settimane fa, è risultata da un’indagine del Sole 24 ore la città italiana ideale per le donne e ciò, da donna trevigiana e da vice presidente di Commissione Pari Opportunità, mi rende orgogliosa di vivere in questa meravigliosa città. Io vivo bene il mio essere donna però devo dire che ogni giorno è come trovarsi in un campo di battaglia nel quale devi cercare di dimostrare di essere la più brava, di essere in grado di svolgere il tuo lavoro, perché nel mio campo, quello dell’arte, ancora vige una certa discriminazione: il nostro lavoro è nato per gli uomini perché si credeva che le donne non fossero in grado di riflettere, di pensare, di avere capacità critica. Ancora oggi troppe volte veniamo declinate al maschile (critico e storico dell’arte), io, in realtà, vado orgogliosa di titolarmi al femminile. Il mio rapporto con le donne a Treviso è buono anche se ho anche molte amicizie maschili. Con gli artisti cerco sempre di creare un rapporto di sinergia e amicale condivisione della passione per l’arte. Purtroppo in quanto donna ho dovuto subire degli atteggiamenti di sfiducia da parte degli uomini per quanto riguarda il mio lavoro. Ciò che mi preme dire è che in Commissione Pari Opportunità cerco di impegnarmi per i diritti civili e per le donne, soprattutto cerco di poter mettere al servizio delle altre donne una violenza subita cinque anni fa, proprio nel mio mondo lavorativo, affinchè tutte noi possiamo riuscire a tornare a volare e a ripartire come donne, e a vivere nuovamente l’amore, la passione senza più blocchi interiori e paure. Perché le nostre ferite si possano rimarginare. Approfitto di questo spazio per dire a tutte le donne di denunciare sempre le violenze e di parlarne, in famiglia, con gli amici, con eventuali compagni evitando di creare muri inutili, e poi di rivolgersi ai terapeuti che, con le loro competenze, possono aiutarci a tornare a vivere.

Ti è piaciuto? Condividi subito!