In occasione della pandemia di Coronavirus, la classe II C della Scuola media della Fondazione Collegio Pio X di Treviso, per sfruttare al meglio le nuove modalità di lavoro della didattica a distanza, ha realizzato un lavoro di approfondimento sulle varie pestilenze che hanno colpito Venezia. Il seguente articolo è stato posto a completamento di tale attività per aggiungere informazioni sulle pestilenze che, da Venezia, sono arrivate anche nella nostra città.
Nella storia di Treviso, passata sotto la Repubblica Veneta nel ‘300, i contatti con Venezia furono certamente importanti anche per quanto riguarda i contagi delle varie pestilenze che hanno colpito la città lagunare. Venezia aveva continui contatti infatti con Treviso, sia via terra, sia via Sile, soprattutto per le granaglie che Venezia mandava a macinare ai mulini di Treviso.
Le prime notizie su casi di peste a Treviso, li possiamo trovare nel libro del Marchesan “Treviso medioevale”, dove si dice che “la pestilenza del 1348 e quindi quella del 1363 avevano così decimata, anche nella regione trevigiana, la popolazione, che buona parte della campagna era rimasta incolta per mancanza di braccia che la potessero lavorare…” Quindi la peste nel ‘300 era arrivata anche nel Trevigiano. Interessante a questo proposito, nel capitolo in cui si parla di rimedi per le varie malattie, lo spazio dedicato alla peste, che ci conferma che casi di peste non mancavano nella nostra città. Marchesan infatti, in modo anche un po’ ironico, scrive: “Se poi – quod Deus avertat (che vuol dire: Dio non voglia!) – un tuo caro avesse a malar di peste, non confonderti, animo, perché c’è il rimedio bello e buono anche per questo bruttissimo e gravissimo malanno, che spopolò in passato intere città”.
Segue poi una pagina intera di ricette davvero bizzarre, fra cui “asenzo, rosmarino, salvia…radice de trementilla, radice de carlina” che andrebbero tagliuzzate e messe in un vaso di vino bianco “bono” da bere ogni mattina. Capiamo in ogni caso che la peste era una malattia grave! Nelle righe successive Marchesan la definisce “un male, che in brevi giorni spopolava città e paesi, ed estingueva intere casate” e ci dice che “il ricettario della Capitolare trivigiana infatti abbonda di suggerimenti contro la peste, più che per ogni altra malattia abituale”.
Ci sono informazioni poi su casi di peste nel 1600. La peste raccontata da Manzoni ne I Promessi sposi sarebbe arrivata anche a Treviso, come dice Andrea Bellieni, che parla di crisi economica e demografica “accentuata da ripetute carestie, invasioni di locuste nel 1617 e varie epidemie di peste, soprattutto nel 1629-30”. Questa pestilenza viene confermata anche da alcuni “libri dei morti” delle parrocchie.
Ad esempio, nel libro dei morti della Parrocchia di San Pelagio si legge che nel 1629 “il di 2 Magio 1629 paso di questa à milgior vitta Sior Marco Porcelengo et sua consorte [moglie] et un suo figlio amalati et di febre e peste se ne morì” e “il dì 24 Zugnio [Giugno] 1629 paso di questa à milgior vitta Sior Tomasin Martignon amalato di febre et peste se ne morì di añi 50.
In molti casi si parla di gente “morta di “petecchie” che sono, secondo alcuni studiosi, “i bubboni, le piaghe” tipiche causate dalla peste”, in particolare dalla peste bubbonica, quella appunto descritta da Manzoni. Proprio in occasione della pestilenza del ‘600 i cittadini trevigiani rafforzarono la loro fedeltà al loro patrono, san Liberale, con un voto perché li liberasse dalla peste. Tale voto si concretizzò nella realizzazione della statua d’argento, realizzata nel 1639 e che ogni anno viene esposta in occasione della festa di san Liberale.
Nei libri sulla storia di Treviso si parla infine, per il periodo successivo, solo di casi di colera nel 1800. Questa malattia che, come è già stato detto, portò moltissimi morti a Venezia fra il 1848-49, raggiunse anche Treviso. Del resto la condizione di vita a Treviso non era delle migliori in tutte le zone della città. Solo agli inizi del 1900 si cercherà di mettere mano a grossi problemi igienici e sanitari in centro città, come si legge in una “Inchiesta sulle abitazioni entro la cinta muraria” del 1911; su 3000 case censite, 263 sono inabitabili, e si trovano soprattutto nel quadrilatero tra via Castelmenardo, via San Nicolò, via dei Dall’Oro e via Isola di Mezzo (la “suburra di Treviso” come la chiamano in molti). Per ogni stanza abitavano di media tre persone, la metà delle abitazioni del centro mancava di acqua corrente ed il 35% non avevano servizi igienici degni di questo nome. Un’indagine successiva del 1912 conferma che “su 237 case inabitabili esistenti in città, 140 erano raggruppate nel quartiere di San Nicolò”.
A Treviso il colera si ripresentò nel 1855 e poi nel 1866 e nel 1873, con 476 casi solo in città, a causa anche di “inedia, sudiciume, incuria della pulizia personale e specialmente della mancanza di mezzi sufficienti”. In realtà anche altre malattie si presentano in quegli anni a Treviso e soprattutto nel quartiere di San Nicolò, dove erano concentrati tutti i poveri della città: “vaiolo, tifo, rachitismo, febbri occasionali e gastriche, […] gastroenteriti, infiammazione di petto, febbre tifoidea, tisi e tubercolosi polmonare, morbillo”.
Marilinda Fanti
Docente di materie letterarie alla Scuola Secondaria di Primo grado della Fondazione Collegio Pio X dal 1984, sposata con tre figli, si è sempre interessata di educazione e di didattica della storia, con particolare attenzione alla storia locale.